Giacomo Rao, Luigi Donato, Concetta Scimone, Simona Alibrandi, Alessandra Costa, Rosalia D’Angelo, Antonina Sidoti
In data 11 marzo 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato che il focolaio internazionale di infezione da nuovo coronavirus SARS-CoV-2 può essere considerato una pandemia. In Italia, già il 9 marzo, il Presidente del Consiglio dei Ministri firma il decreto “Io resto a casa”, con cui il Governo sottopone l’intera Italia a misure di quarantena, estendendo a tutto il territorio quanto già in vigore per la Lombardia e le altre 14 province focolaio.
Le misure adottate (DPI mascherina e guanti, distanziamento sociale, divieti di spostamento, …) rientrano nella prevenzione primaria, volta solo a contenere la diffusione del virus. A tali pratiche, molte Regioni hanno fatto seguire l’esecuzione del test genetico basato su RT-PCR su liquido biologico raccolto mediante tampone oro-faringeo solo nei soggetti sintomatici.
Tali misure, seppur utili nei primi 20 giorni dall’inizio del focolaio, potrebbero non essere protratte a lungo, a causa delle gravi ricadute economiche e per la scarsa efficacia nel tempo. Il tampone, infatti, fornisce unicamente informazioni temporalmente circoscritte in merito all’avvenuto contagio o meno del soggetto analizzato. Non è possibile, quindi, con esso, prevedere se il soggetto potrà o meno incorrere in un’infezione nelle ore o nei giorni immediatamente successivi allo screening.
Nella strategia di contrasto alla pandemia riteniamo utili misure di Prevenzione secondaria.
In primis è necessario associare al tampone il dosaggio degli anticorpi sviluppati in risposta all’infezione, in maniera opportuna. Tali dosaggi dovrebbero essere ripetuti ogni 15 giorni seguendo la curva epidemiologica nazionale.
Studi epidemiologici delle pregresse epidemie da coronavirus, nonché studi in progress, evidenziano che i test sierologici virali associati al test genetico basato su RT-PCR da campioni di liquido biologico rappresentano un mezzo efficace di diagnosi per l’infezione da SARS-CoV-2, poiché il 99% della popolazione sana (sono esclusi da questo conteggio i soggetti immunodepressi) che venga in contatto con il virus, dopo una o due settimane produrrà gli anticorpi anti-SARS-CoV-2 (IgM ed IgG).
Tale studio permetterebbe di valutare la prevalenza di popolazione sieropositiva asintomatica contagiante con tampone positivo e popolazione sieropositiva guarita non più contagiata e protetta da future esposizioni al virus.
Su tali sub-popolazioni di ammalati con complicanze, e su campioni di popolazione asintomatica, opportunamente stratificati in base alle categorie a rischio (es. anziani, individui con patologie metaboliche, malattie croniche respiratorie o cardiovascolari, ecc.), si potrebbero eseguire studi longitudinali caso-controllo al fine di individuare biomarkers epigenetici precoci prognostici di maggiore suscettibilità e di progressione della SARS-CoV-2 verso complicanze gravi nella popolazione anziana.
Studi candidati potrebbero essere: studi genetici ed epigenetici, analisi di espressione, studi sierologici biochimici (es. dosaggio di interleuchine, d-dimero), analisi degli esosomi, analisi dell’inflammosoma (quadro infiammatorio molecolare) e studio dell’esposoma (storia espositiva a inquinanti come particolato atmosferico).
Su quest’ultimo punto, l’ipotesi da approfondire riguarda il ruolo del PM atmosferico non solo sulla diffusività ma anche sulla maggiore patogenicità del virus.
Lavori in progress e dati epidemiologici indicano un possibile legame tra il drammatico impatto delle complicanze cardiovascolari e multiorgano del SARS-CoV-2 nella pianura Padana e le alte concentrazioni di particolato (PM10 e PM2.5 PM0,1) che caratterizzano quest’area, insieme alle sue ben note condizioni climatiche specifiche.
Alte evidenze epidemiologiche riportano che le aree più colpite da Covid-19 sono quelle ad alto tasso di inquinamento: Wuhan in Cina, la Pianura Padana in Italia, New York negli Stati Uniti d’America.
La nostra ipotesi di studio sostiene che le complicanze più gravi della Covid-19 potrebbero essere interpretate come una overlap syndrome, in cui esposizione cronica a particolato ultrafine ed inquinanti ambientali atmosferici, background genetico dell’ospite e caratteristiche di patogenicità del virus agiscono sinergicamente con interazioni eziopatogenetiche potenziandosi verso complicanze infiammatorie e cardiovascolari più gravi.
Questa ipotesi si fonda su studi che hanno rilevato la presenza di RNA di SARS-CoV-2 sul particolato, in caso di stabilità atmosferica ed alte concentrazioni di PM, come di solito si verifica nel Nord Italia, ed il virus, quindi, può essere trasportato dalle PM.
Le UFP hanno dimensioni tra 20 e 100 nanometri, e presentano sulla superficie IPA, metalli pesanti e varie molecole organiche con cui il virus potrebbe interagire ed essere trasportato.
Ipotizziamo un interplay con effetto potenziante verso complicanze vascolari, attraverso comuni ligandi recettori di membrane, reti di segnalazione cellulare, inflammosoma, interferenza sulle dinamiche mitocondriali, link mitocondrio-sistema reticolo endoteliale con alterazioni epigenetiche, proteostasi, con evoluzione verso la grave infiammazione, alterazioni vascolari e multiorgano.
L’outcome principale di queste fasi analitiche condurrebbe all’identificazione di biomarkers predittivi, fondamentali per la prevenzione di eventuali nuove epidemie/pandemie, la conoscenza di biomarkers diagnostici precoci di evoluzione verso gravi complicanze respiratorie e cardiovascolari fornisce un razionale per una più efficace prevenzione e terapia. E non ultimo, tale razionale potrebbe impattare su misure di prevenzione pubblica come incremento delle misure di abbattimento degli inquinamenti dei fumi industriali mediante camere a deposizione, precipitatori elettrostatici obbligatorietà di auto elettriche nelle città.
Considerato il momento di continua emergenza per SARS-CoV-2, poiché non sono disponibili terapie specifiche, il contenimento precoce e la prevenzione secondaria sono cruciali per controllare i gravi esiti polmonari e cardiovascolari.
In quest’ottica attuare unicamente misure di prevenzione primaria (DPI, distanziamento sociale, lockdown) rappresenta un modus operandi, anche se corretto nella fase iniziale vista la grande infettività e diffusibilità del virus, ma che non sarà sostenibile nel lungo periodo per gli enormi costi economici che la nostra Nazione sta affrontando.
Più sostenibile, ma anche altrettanto efficace e razionale, potrebbe essere orientarsi verso una prevenzione secondaria, cioè individuare biomarkers precoci di malattia, biomarkers di rischio per la progressione e complicanze gravi della malattia, in particolare sulla popolazione.
Si potrebbe tutelare, oltre al bene salute, anche l’economia, con revoca anticipata del lock-down e riavvio in sicurezza delle attività commerciali, impiegando al meglio le risorse economiche e sanitarie disponibili.