Neurochaperonopatie: dalla genetica la possibilità di diagnosticare malattie senza nome

Le Dott.sse Federica Scalia e Letizia Paladino

Articolo pubblicato su https://www.osservatoriomalattierare.it

Le dott.sse Federica Scalia e Letizia Paladino (Palermo): “Parliamo di patologie che sono rare anche perché spesso non riconosciute. Occorre colmare il vuoto tra la ricerca e la clinica”

Nella lingua italiana “fare da chaperon” equivale al gesto di introdurre una persona in un nuovo ambiente, perciò la figura dello chaperon si rifà a quella di una guida, di un mentore, di qualcuno che svolga un ruolo di tutela e accompagnamento di qualcun altro. In biologia la valenza assunta dal termine “chaperone” è simile, poiché con questa parola si identifica una classe di proteine che partecipano ai meccanismi di ripiegamento e assemblaggio di altre proteine. Si sa che per generare una proteina non è sufficiente tradurre l’informazione genetica contenuta nell’RNA messaggero in una sequenza di aminoacidi, ma occorre anche che tale sequenza assuma una conformazione tridimensionale adatta a garantire la funzionalità della proteina: se questo processo non avviene correttamente possono prodursi gravi danni per l’organismo.
A loro volta, i danni suscitati da un’anomalia configurazionale in una proteina che svolga un ruolo chiave per l’organismo si trasformano in malattie a cui spesso non si riesce a dare un nome, costringendo i malati a rimbalzare da un centro specialistico all’altro, spostandosi di laboratorio in ambulatorio nella speranza di ottenere una diagnosi che possa segnare l’inizio di un percorso terapeutico. È questo il caso di una bambina con una grave patologia neurodegenerativa di cui non si conosceva l’origine fino al momento in cui è la piccola non è stata presa in carico dai pediatri e dai neurofisiopatologi del Policlinico di Palermo, i quali collaborano attivamente con le ricercatrici del nuovo Dipartimento di Biologia dello Stress, Epigenetica e Neuroscienze dell’Istituto Euro-Mediterraneo di Scienza e Tecnologia (IEMEST) di Palermo. “La bambina è giunta da noi all’età di quattro anni. I medici che la seguivano erano al corrente delle nostre ricerche sugli chaperoni e ci hanno chiesto un consulto”, racconta la dott.ssa Federica Scalia, direttrice del Dipartimento. “Dopo aver fatto svolgere un sequenziamento completo dell’esoma (WES) abbiamo identificato una mutazione (Leu224Val) nel gene CCT5, che codifica per una chaperonina essenziale per il corretto ripiegamento delle proteine. Tale mutazione è stata dunque associata al particolare fenotipo della bambina”. 
La descrizione del caso è stata riportata in un articolo pubblicato alle pagine della rivista International Journal of Molecular Sciences e conferma la bontà di un approccio trasversale, in cui l’esperienza maturata dal clinico sul campo incontra quella del ricercatore in laboratorio. “
Condizioni come le chaperonopatie, disordini genetici riconducibili proprio agli chaperoni, sono rare perché spesso non sono conosciute, e riconosciute, nemmeno dai medici”, conferma la dott.ssa Letizia Paladino, collega e collaboratrice della dott.ssa Scalia. “Esiste un vuoto tra la ricerca e la clinica e occorre colmarlo con progetti traslazionali in grado di offrire nuove risposte ai pazienti”.

Autore: Enrico Orzes, 15 Febbraio 2022

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